Isola di Salina ipotesi di assetto territoriale,maggio 1984
29 Luglio 2016 Notizie Salina contadino insieme.
La casa è il simbolo della famiglia, il luogo nel quale i vincoli familiari ritrovano la loro unità affettiva e la continuità di legami con gli antenati. Quest’insieme di fattori, anche imponderabili, contribuiscono a cerare un’atmosfera in cui valori tradizionali e aspirazioni moderne in qualche modo si conciliano e in cui lo “scenario” naturale non rappresenta il fondo statico e desolante di una residua arcaida bellezza ma può divenire l’elemento aggregante e rivitalizzante nel rapporto uomo-ambiente. Salina, nota come l’isola “verde” è quella in cui l’agricoltura è più sviluppata. Le coltivazioni in terrazzi, i villaggi, gli agglomerati di abitazioni la rendono nettamente “diversa” dalle altre isole dell’Arcipelago nelle quali la nudità del suolo o gli espandimenti lavici o, ancora peggio, la speculazione edilizia rendono qualsiasi attività agricola pressochè impossibile. Il clima dell’isola, tipicamente mediterraneo, un regime termico straordinariamente equilibrato, un regime anemologico di contenuta ventosità.
La luminosità del cielo e la scarsa nuvolosità sono caratteri estremamente favorevoli agli insediamenti umani e alla utilizzazione del suolo con colture tipiche. Il bel manto verde dell’isola, in passato rappresentato da una estesa e alta macchia spontanea, originariamente a leccio e roverella, si è nel tempo progressivamente ridotto. Le sue specie più rappresentate, il mirto, l’erica, il lentisco, la ginestra, il rosmarino, il timo, l’eliotropio e diverse varietà di cisto si ritrovano solo alle basse quote; alle quote più elevate prevalgono alberi d’alto fusto: i castagni sui fianchi del Monte Rivi e nel cratere del Monte Fossa delle Felci. Il paesaggio vegetale è caratterizzato da uliveti (olea europea) e vigneti (vitis vinifera) in gran parte abbondanti e da vegetazione pioniera che tende a riconquistare vecchi domini dai quali era stata scacciata a opera dell’uomo. Specie endemiche quali la Centaurea cineraria Aeolica, la Ginestra ephedroides, la Micromeria gracea e l’Andryola interfoglia sono abbastanza diffuse; Cakile marittima, spesso associata a Salsoakali popola le spiagge isolane, mentre lungo greppi pendii e costoni è diffuso il Crithmum maritimum. Nelle zone meno accidentate si coltiva il cappero del quale si raccolgono e commercializzano i boccioli.
La quercia (quercus ilex) è presente in numerosi esemplari nelle aree sommitali del Monte dei Rivi e del Monte Fossa delle Felci sul quale vi sono stati interventi di riforestazione con impianti di pini (pinus insignis, pinus pinaster, pinus halepensis), castagni, ontàni, acero del monte e robinie. Numerose specie di importazione si sono acclimate nell’isola: tra queste palme e bouganville. Le “condizioni naturali” di produzione agricola dell’isola possono essere così schematizzate: – l’origine vulcanica dell’isola determina una notevole fertilità del terreno anche se limitata dalla distribuzione delle piogge – lunghi periodi di siccità seguiti da violente precipitazioni; – la morfologia limitata considerevolmente la coltivazioni dei terreni e non consente l’introduzione diffusa di mezzi meccanici e di tecnologie avanzate; – l’assenza di acqua e la variabilità di pendenza del suolo rendono pressochè impossibile l’irrigazione. La quasi totalità della superficie agraria utilizzata è occupata da colture legnose; i seminativi costituiscono una parte del tutto marginale. Un cenno a parte merita la coltivazione del cappero, la produzione del quale è in continua espansione. Lo sfruttamento agricolo del suolo è comunque limitato alle aree prossime ai centri abitati a bassa o modesta acclività. A mano a mano che l’acclività aumenta le colture in terrazzi diminuiscono fino al loro completo abbandono e alla riconquista di quelle aree da parte della macchia.
D’altronde la degradazione e lo stato d’abbandono sono spesso fenomeni ciclici e cumulativi nel senso che mancati investimenti del settore agricolo rafforzano altri settori e provocano inevitabilmente la marginalizzazione del settore agricolo, la degradazione dei suoli, una diminuzione d’interesse per l’utilizzazione agricola dei terreni e quindi un ridotto interesse per le infrastrutture. 3. STRUTTURA ECONOMICA E OCCUPAZIONALE 3.1 Agricoltura: un’attività in lenta ripresa. L’Agricoltura e la pesca, sono state le attività economiche prevalenti dell’isola di Salina anche se l’agricoltura è stata influenzata dalla fluttuazione del popolamento con conseguente abbandono o ripresa delle colture. Il crollo dell’occupazione nel settore primario è un chiaro indice della situazione in cui si trova l’agricoltura, alla crisi della quale contribuiscono, nonostante la fertilità e la difficoltà di lavorazioni meccaniche, il frazionamento eccessivo della proprietà fondiaria, lo sfavorevole andamento pluviometrico, tipico delle zone aride meridionali.
L’utilizzazione del suolo si basa sulla coltivazione della vite, dell’olivo, del cappero e di limitate superfici a frutteto e cereali. La coltura della vite, importante per la produzione del vino “malvasia” e dell’”uva passa”, ha subito il crollo maggiore con riduzione della coltura e la conseguente scomparsa di oltre il 60 per cento della aziende prevalentemente viticole. La vite, in passato, doveva essere notevolmente diffusa: ancora oggi si possono osservare, anche in zone quasi inaccessibili, terrazzi di modeste dimensioni coltivati a vigneto. E’ la coltura specializzata dominante nella vasta depressione di Val di Chiesa. Altre colture viticole abbastanza estese si trovano nella zona di Malfa, fino a Capo, tra Santa Marina Salina e Lingua e nella cavità craterica di Pollara. I terrazzi per la coltura della vite raggiungevano anche i 750 m; oggi non superano mai i 350 metri. I vini prodotti, sono un miscuglio di uve di varia qualità senza alcuna denominazione eccetto la generica distinzione di vino rosso e bianco, nonostante che in alcune contrade si procura un vino particolarmente buono che potrebbe competere con vini rinomati di altre località siciliane e della penisole. Oltre al vino comune l’isola di Salina produce il vino malvasia noto sotto l’inesatta denominazione di “malvasia di Lipari”.
La produzione del malvasia ha avuto alterne vicende: nel periodo di migliore rendimento il suo rapporto con il vino comune era di 1 a 4 con un quantitativo di 4 – 500 ettolitri all’anno. Successivamente decadde tanto che tra il 1929 e il 1930 rimase sotto i 50 ettolitri e i vigneti di malvasia furono sostituiti con altri di uva comune. Nel 1940 la produzione venne riportata a 400 ettolitri per diminuire subito a causa degli eventi bellici. Nell’immediato dopoguerra si ebbe una notevole ripresa e nonostante il continuo esodo degli agricoltori si passò dai 200 ettari coltivati del 1952 ai circa 500 ettari del 1962. La coltivazione oggi è concentrata nel territorio di Malfa; la produzione complessiva dell’isola si aggira sui 1000 ettolitri. Nel periodo di maggiore floridezza della viticoltura nell’isola di Salina, tra il 1880 e il 1890, si producevano fino a 16.000ettolitri di vino, mentre attualmente tra vino comune e malvasia non si toccano i 5000 ettolitri. Il malvasia ha ottenuto la denominazione di origine controllata sotto l’etichetta “malvasia delle Lipari”. Il vino locale, molto richiesto, non può sopperire le esigenze del mercato, specialmente in stagioni di afflusso turistico. Persino il vino malvasia non basta a coprire la domanda con la conseguenza che vengono immessi sul mercato notevoli quantitativi di malvasia provenienti dal trapanese e da altre località. Da alcuni anni si registrano un miglioramento e un incremento della coltura della vite; sia l’aumentata richiesta sia l’adeguamento del prezzo del vino la rendono economicamente redditizia , pur con l’enorme difficoltà di reperire manodopera. Tra le colture legnose prevale quella dell’olio che si trova diffuso sparso tra gli incolti produttivi o in coltura promiscua con seminativo e alberi da frutto. Le migliori colture venivano fatte su terreno terrazzato con alberi tenuti bassi per facilitare il raccolto. Dai dati catastali della superficie coltivata a uliveto e dalla situazione reale della rendita non sembra opportuno operare confronti: la presenza dell’uliveto è infatti – tranne limitate aree il cui prodotto viene utilizzato per uso esclusivamente familiare – solo destinazione storica vegetazionale e non vera e propria coltura. Gli agrumi, per mancanza di acqua, vengono coltivati su modeste superfici, di solito nei pressi degli abitati, e a solo uso familiare. Le colture cerealicole si trovano a piccoli appezzamenti a conduzione familiare. Scarsa importanza hanno gli alberi da frutto.
I più diffusi sono i fichi, associati ad altre colture e sparsi negli incolti produttivi. La consistenza colturale degli albicocchi, peschi, susini, è di scarso rilievo. Il ficodindia si coltiva spesso ai margini delle proprietà come siepe e si trova negli incolti produttivi in prossimità di abitazioni. La coltivazione dei capperi, data la richiesta del mercato, determina un reddito significativo. Normalmente la coltura di questa pianta permette di sfruttare qualsiasi terreno pur se in questi ultimi anni anche suoli di buona qualità sono stati utilizzati per nuovi impianti, in considerazione della buona resa economica. La coltura, praticata diffusamente in passato dagli isolani è, oggi, in regresso per mancanza di manodopera; si riduce alla potatura, che viene effettuata in febbraio-marzo mediante il taglio dei germogli dell’annata precedente, ciò permette alla ceppaia di emettere nel mese di aprile un’abbondante produzione di boccioli, i quali, prima della fioritura, vengono raccolti e messi in salamoia. La raccolta dei bocciolo viene fatta di buon mattino e nel tardo pomeriggio, normalmente da donne e ragazzi e richiede una notevole manodopera, il costo della quale si mantiene a livelli ancora possibili; peraltro, buona parte dei coltivatori sono anche proprietari i quali, spesso, svolgono altre attività e godono di redditi aggiuntivi. Nelle isole il cappero vegeta un po’ ovunque ; la produzione più elevata si ha in Salina che nel 1981 ha esportato oltre 2700 quintali; la produzione, ripartita nel modo seguente, 1400 quintali a Malfa, 600 quintali a Leni, 500 quintali a Santa Marina Salina, comporta oltre 1 miliardo e 800 mile lire di introiti. Rispetto al 1963, anno nel quale la produzione fu di 1400 quintali, si è avuto un sensibile aumento solo a Salina; nelle altre isole anche questa coltura è in stato di abbandono. Nel 1971 a Malfa è sorta una Cooperativa di cappericoltura in cui converge un parte della produzione dell’Isola.
A Lipari, nonostante la produzione sia molto modesta, vi è accentrata la lavorazione e commercializzazione del prodotto proveniente da quasi tutte le isole. I grossisti esportano, oltre alla produzione eoliana, grosse partite di prodotto qualitativamente più scadente che vengono importate a basso costo da altre località della Sicilia, dal Marocco, Algeria e Spagna. Il bosco e la densa macchia mediterranea venivano un tempo sfruttati per la produzione di legna da ardere e di carbone vegetale. Il rimboschimento viene curato dall’Ispettorato Provinciale delle Foreste, che impiega una ventina di unità lavorative in lavori salutari. Nell’isola di Salina la superficie totale coperta a forestazione è di 358 ha: 100 ettari in località Gramignazzi di proprietà del comune di Malfa e di 250 ettari, in terreni privati, alla Fossa delle felci, e in territori ricadenti in parte nei comuni di Leni e Santa Marina Salina. Oltre alla presenza di Pini mediterranei (circa il 50% delle superficie), Eucalipti (circa il 25%) e Acacie (circa il 5%), si riscontrano il Pino insigne e il Castagno che coprono il 10% della superficie forestale. Il castagno trova in quest’isola al di sopra dei 500 metri di altitudine, condizioni favorevoli di vegetazione; alcuni esemplari si riscontrano anche nella depressione craterica di Monte Fossa delle Felci a 900 metri s.l.m. Frequenti sono gli incendi che distruggono vaste superfici con danni notevoli alla forestazione. La popolazione attiva in agricoltura nei tre Comuni nel periodo intercensuale 1961-1971, è diminuita di 137 maschi e 37 femmine, passando dal totale di 441 unità a 293. Pur non disponendo di dati recenti la situazione si presenta ancor più grave, rispetto al 1971, per l’esodo che si è avuto di popolazione attiva dalla terra.
L’indice più elevato si ha nel comune di Malfa con il 51,89% per i maschi e con il 50% per le femmine nel comune di Santa Marina di Salina. L’indice di ruralità, passando da 16,38 a 13,73 dal 61 al 71, conferma il decremento globale nei comuni dell’isola, ad esclusione di Leni che è l’unico comune nel quale si registra un lieve incremento determinato da un modesto calo degli addetti agricoli e della popolazione residente. Questo fenomeno rispecchia la diminuzione della popolazione attiva avutasi nello stesso periodo nei tre comuni; cosa che del resto si è verificata più massicciamente anche nel comune di Lipari. Le cause sono da ricercare nell’esodo delle forze più giovani, nella possibilità di pensionamento più favorevole, nel doppio lavoro, problemi in fondo che si riscontrano quasi ovunque in Sicilia. Il carico di manodopera più elevato è nel comune di Santa Marina Salina che è passato dal 61 al 71 rispettivamente da 3,05 a 6,17. La frantumazione della proprietà fondiaria determina come conseguenze un elevato carico di manodopera rispetto alla superficie agricola e quindi un basso indice di addetti nel numero delle aziende.
L’agricoltura di Salina si trova in grave dissesto; pur se il carico umano gravante sulle campagne è diminuito notevolmente in questi anni, esso deve però essere considerato la causa dell’attuale crisi, determinata, salvo rare eccezioni; dal frazionamento eccessivo della proprietà fondiaria; dall’indirizzo economico delle aziende agricole basate sull’autarchia familiare e quindi su colture non adatte ai terreni; dalla limitata possibilità di lavorazioni meccaniche a causa della morfologia dei terreni; dalla mancanza di organizzazione commerciale per la trasformazione dei prodotti e dell’eccessivo carico fiscale. A queste cause si aggiunga il miraggio dell’attività turistica e di sicuri guadagni che ha indirizzato ulteriore, manodopera verso lavori meno faticosi. ISOLA DI SALINA IPOTESI DI ASSETTO TERRITORIALE CARMELO CAVALLARO – MASSIMO ZUFFI – LEONARDO GAGLIARDI EUROGRAPHIS EDITRICE 1984